Nei primi animali terrestri a quattro zampe (tetrapodi) le estremità degli arti anteriori e quelle degli arti posteriori erano del tutto simili dal punto di vista strutturale. Nel corso dell’evoluzione le estremità degli arti si sono andate via via differenziando, al punto che nella specie umana esse hanno assunto conformazione e funzioni totalmente diverse: la struttura multiarticolata della mano si è specializzata per conseguire versatilità e precisione di movimento, quella altrettanto articolata del piede per conseguire un compromesso tra mobilità e stabilità. La postura eretta richiede una base solida, ma durante la locomozione l’estremità inferiore deve rispondere alla ciclica domanda di flessibilità e resilienza, dovendo il piede sia assorbire sia trasmettere forze dinamiche. L’efficacia con la quale il piede soddisfa questo duplice ruolo dipende essenzialmente dall’integrità delle sue numerose strutture osteo-articolari e delle altrettanto numerose strutture periarticolari, in particolare degli apparati legamentoso e muscolo-tendineo.
Un breve cenno a come il piede è costruito e a come si muove è indispensabile per comprendere meglio gli inconvenienti a cui il piede può andare incontro, quando i suoi diversi costituenti siano affetti da processi patologici.
Il piede anatomicamente e funzionalmente è divisibile in tre parti: il tarso (posteriore = retropiede), il metatarso (parte intermedia) e i diti (anteriori = avampiede). Le ossa del piede seguono la regola del 7: 7 ossa nel retropiede (astragalo, calcagno, scafoide, cuboide, cuneiformi I, II e III) , 7 ossa nel metatarso (5 metatarsali I, II, III, IV e V, + 2 sesamoidi mediale e laterale) e 7 x 2 nei diti (2 falangi nell’alluce, 3 falangi nei 4 diti minori, II, III, IV e V), in totale 7 x 4 = 28 ossa. Considerando i movimenti del piede rispetto alla gamba, analiticamente sono distinguibili tre possibili movimenti: eversione-inversione (rotazione del piede rispettivamente in fuori o in dentro), abduzione-adduzione (movimento del piede rispettivamente verso l’esterno o verso l’interno), dorsiflessione-flessione plantare (movimento del piede rispettivamente verso l’alto o verso il basso). Nella realtà questi diversi movimenti raramente vengono effettuati singolarmente, in quanto la disposizione delle ossa del piede, vale a dire come esse si articolano tra di loro, è tale che per lo più i tre movimenti si compiono in grado maggiore o minore simultaneamente, determinando sostanzialmente due tipi di movimenti complessi: la pronazione che si compone di eversione + abduzione + dorsiflessione e la supinazione che si compone di inversione + adduzione + flessione plantare. In condizioni normali, durante la deambulazione il carico inizia dal tallone (heel strike) e procede lungo il bordo laterale del piede verso le teste dei metatarsali con la massima spinta propulsiva esercitata dalla falange distale dell’alluce (toe-off). I tendini flessori dell’alluce, che ha solo due falangi, agiscono premendo la falange distale al suolo, mentre le ossa sesamoidi, incorporate nei tendini che si inseriscono sulla falange prossimale, agiscono da fulcro per l’azione pressoria. I tendini flessori degli altri diti (II, III, IV e V) invece saltano la prima falange (prossimale), si inseriscono sulle falangi intermedia e distale e agiscono facendo presa sul suolo. Durante la deambulazione, nella fase di supporto, quando il piede aderisce al suolo, il piede è aperto, flessibile, pronato; nella fase di appoggio (colpo di tallone) e nella fase di spinta, il piede è chiuso, rigido, supinato. Questi pochi cenni di anatomia funzionale sono sufficienti a dimostrare quanto fosse superficiale l’interpretazione dei pur valenti anatomisti ottocenteschi che sentenziavano: “…l’adattamento, mentre ha foggiato la mano in modo da renderla un meraviglioso strumento di presa, ha fatto del piede un semplice (sic!) organo di sostegno per le altre parti del corpo.”
Con la testa e la schiena, i piedi sono nella specie umana la sede più frequente di dolore, sicché il “mal di piedi” (o “podalgia”, usando il termine medico derivato dal greco unendo le parole che significano rispettivamente “piede” e “dolore”) è una delle più comuni esperienze di dolore fisico. A differenza però del “mal di testa” e del “mal di schiena”, che hanno un numero relativamente limitato di cause, il “mal di piedi” riconosce un numero estremamente elevato di cause, dalle più banali e fugaci (“scarpe strette”) alle più complesse e invalidanti (ad esempio, il piede artritico reumatoide).
L’approccio pratico alle sindromi dolorose del piede può effettuarsi al meglio integrando i dati anamnestici (storia clinica), i rilievi obiettivi ed eventualmente i reperti laboratoristici e strumentali, prendendo in considerazione la topografia (vale a dire la sede precisa) del dolore (diffuso o localizzato; se localizzato, posteriore, mediano, anteriore o plantare), l’eventuale contesto in una sindrome clinica riconosciuta, le particolari circostanze d’insorgenza della sindrome dolorosa, la tipologia del dolore (infiammatorio, meccanico, neuropatico, vascolare).
DOLORI LOCALIZZATI DA DIFETTI STRUTTURALI CONGENITI O ACQUISITI
La complessa struttura anatomica e le rilevanti richieste funzionali (dalla stazione eretta alla deambulazione, per non citare altre attività ancor più impegnative come la corsa e il salto) rendono conto della frequenza con la quale il mal di piedi insorge in seguito a malformazioni strutturali congenite, o ad alterazioni acquisite in seguito a sovraccarico meccanico statico o dinamico, o all’uso di calzature incongrue. Le condizioni più frequenti che possono portare a podalgie sono il piede cavo, il piede piatto, il piede spianato, le alterazioni dell’alluce e degli altri diti.
Nella normale stazione eretta il complesso articolare costituito dalle articolazioni sottoastragalica e mediotarsica non dovrebbe rimanere costantemente o essere sforzato in nessuna delle due posizioni estreme. Idealmente dovrebbe operare attorno ad un punto neutro nel quale la congruenza tra le superfici articolari è massima, mentre la tensione sui tessuti molli è minima, così riducendo lo stress eccessivo e il danno potenziale a carico di ogni componente del complesso articolare. Quando questa condizione di equilibrio non si realizza e vi è una ripetuta o costante tendenza verso una posizione o un movimento estremi, ciò può o predisporre verso una alterazione articolare o la situazione può aggravarsi se quest’ultima è già presente. Clinicamente si può osservare che il piede in carico è maggiormente incline verso la pronazione; se questo atteggiamento diventa eccessivo, le strutture legamentose vengono sottoposte a sovraccarico. Nella pronazione, particolarmente in presenza di malattia artritica, può costituirsi un accentuato spostamento verso l’interno (medializzazione) e verso il basso (verticalizzazione) dell’astragalo, il primo osso immediatamente sottostante le ossa della gamba (tibia e perone). Le articolazioni sottoastragalica e mediotarsica tendono a sublussarsi portando a una deformazione del piede, per cui il retropiede apparirà everso e addotto, mentre l’avampiede apparirà relativamente inverso e abdotto. L’arco longitudinale mediale del piede tenderà ad appiattirsi o potrà divenire completamente piatto.
Le alterazioni posturali del piede comportano in una prima fase disturbi dolorosi particolarmente a carico delle strutture sottoposte a sovraccarico funzionale, quali i muscoli e i legamenti, successivamente si faranno maggiormente evidenti le sofferenze legate alle alterazioni di natura artrosica delle diverse articolazioni coinvolte nel processo di deformazione e alle alterazioni dei tessuti superficiali (borsiti e callosità) secondarie ai difetti di appoggio del piede. I muscoli interni della gamba, in particolare il muscolo tibiale posteriore, uno dei muscoli coinvolti nella supinazione del piede, negli stadi precoci della sindrome pronatoria può essere soggetto ad affaticamento o spasmo. I muscoli esterni della gamba, muscoli peronieri, con funzione pronatoria, possono andare incontro a spasmo muscolare in condizioni di eccessiva pronazione.
L’alluce valgo (con angolatura verso l’esterno del piede) costituisce una delle più frequenti deformazioni del piede, particolarmente nel sesso femminile, nel quale il frequente e prolungato uso di calzature con tacco alto e di forma appuntita svolge un ruolo favorente.
La patogenesi dell’alluce valgo è complessa: in genere esiste una condizione predisponente legata al “metatarsus atavicus”. Il primo osso metatarsale è costituzionalmente troppo corto e troppo mobile, particolarmente in varo (con angolatura verso l’interno), con il risultato di non fornire sufficiente contatto con il suolo e quindi il carico viene spostato sulla testa del metatarsale più lungo posto più vicino ad esso (di solito il secondo, più raramente il terzo, o entrambi). L’avampiede si spiana e assume una forma triangolare per ampliamento dell’angolo tra assi del primo e del secondo metatarsale e globalmente dell’angolo tra assi del primo e del quinto metatarsale.
La spiegazione di come si instaurino l’alluce valgo e le altre deformazioni dei diti del piede richiede inevitabilmente il ricorso a tecnicismi che non sono alla portata di tutti, dovendo fare riferimento alla complicata struttura anatomica del piede, argomento certamente non di pubblico dominio. Ecco come il fenomeno viene spiegato secondo i testi più autorevoli.
Nell’alluce valgo il primo metatarsale è relativamente addotto (rivolto verso l’interno), ma l’alluce è frenato nella sua deviazione mediale (verso l’interno) dai muscoli con inserzione sulla base della prima falange (prossimale). Il muscolo abduttore dell’alluce inserito sul lato mediale della falange prossimale in comune con il capo mediale del muscolo flessore breve dell’alluce, scivola plantarmente attorno alla testa deviata medialmente del metatarsale, facendo ruotare lateralmente (eversione) l’alluce. I due sesamoidi associati con i due capi rispettivamente mediale e laterale del muscolo flessore dell’alluce, perdono la loro congruenza con i rispettivi solchi longitudinali della testa del metatarsale: il sesamoide mediale essendo particolarmente soggetto a compressione man mano che il metatarsale viene ulteriormente addotto e ruotato medialmente (inversione). Il legamento collaterale mediale viene stirato e tende ad allungarsi, mentre quello laterale è rilassato e tende ad accorciarsi. I tendini dei muscoli estensore e flessore lunghi inseriti sulla seconda falange (distale) e i muscoli intrinseci inseriti sulla base della prima falange, particolarmente l’adduttore dell’alluce, si oppongono alla deviazione mediale dell’alluce, ma non hanno influenza diretta sul metatarsale, così mentre il metatarsale devia, l’articolazione metatarsofalangea si sublussa. Man mano che il metatarsale devia medialmente, il primo spazio intermetatarsale si allarga e conseguentemente il legamento metatarsale trasverso viene stirato. Con il progredire del processo deformante la base della falange prossimale e il sesamoide laterale possono scivolare tra il primo e il secondo metatarsale, mentre i tendini dell’estensore e del flessore lunghi si accorciano per adattarsi all’alluce ora divenuto più corto e deviato lateralmente. In questo stadio il sesamoide mediale viene a occupare la sede primitivamente occupata dal sesamoide laterale.
In conseguenza della deformazione, nell’alluce valgo dorso-medialmente spesso si sviluppa superficialmente una borsa in corrispondenza della prominenza della testa del metatarsale, che può dare origine a una borsite assai fastidiosa (volgarmente chiamata “cipolla”). In seguito alla grossolana deviazione laterale dell’alluce, anche gli altri diti possono deviare. Il dito più compromesso è in genere il secondo dito, che può andare incontro a sublussazione a livello della seconda articolazione metatarso-falangea, che assume l’aspetto di dito “a martello”, il quale può scavalcare l’alluce deviato o, occasionalmente, essere da quest’ultimo scavalcato.
Indipendentemente dall’alluce valgo, le deformazioni a carico dei diti sono relativamente frequenti in rapporto con alterazioni dei complessi apparati estensore e flessore dei diti del piede. La prossimità delle espansioni dell’apparato estensore alle capsule delle articolazioni metatarso-falangee e interfalangee, le rende vulnerabili nei confronti dei processi patologici adiacenti, causandone la lesione o la rottura con conseguenti deformazioni in flessione dei diti. L’indebolimento dei muscoli intrinseci del piede (lombricali e interossei) determina estensione dell’articolazione metatarso-falangea e flessione delle articolazioni interfalangee, con conseguente deformazione dei diti che assumono l’aspetto “ad artiglio”. La rottura dell’inserzione centrale sulla falange media dell’estensore lungo fa assumere al dito l’aspetto “a martello”. I tendini flessori confinati all’interno delle guaine sinoviali possono presentare tenosinovite con conseguenti dolore, tumefazione e restrizione di movimento.
CONTESTO LOCALE
Guida diagnostica preziosa è il contesto locale: se il piede presenta segni diffusi o localizzati d’infiammazione, ci si deve orientare verso una patologia osteoarticolare o un’infezione o un processo flogistico dei tegumenti. Il ricorso alla determinazione della velocità di eritrosedimentazione (VES) e della Proteina C Reattiva (PCR) può essere d’aiuto nel differenziare due diverse situazioni.
Nel caso si riscontri una sindrome biologica infiammatoria (VES e PCR elevate), sono da prendere in considerazione tutte le cause di artrite (infettive, infiammatorie, metaboliche). L’elenco delle affezioni a eziologia infettiva comprende le artriti settiche (forme acute e croniche), le osteomieliti, la tubercolosi, l’actinomicosi, la cui diagnosi è facilitata dai risultati delle diverse tecniche d’imaging e dalle eventuali indagini microbiologiche.
Le Spondiloartriti debuttano frequentemente con una talalgia (dolore al calcagno) o una dattilite (infiammazione di tutto un dito, che si presenta come un salsicciotto dolente), mentre l’interessamento delle articolazioni metatarso-falangee e delle interfalangee, anche se talora scarsamente sintomatico, tende a comparire più tardivamente e a evolvere verso quadri di distruzione articolare, deformazione e anchilosi. La talalgia è causata da una entesite (infiammazione di una inserzione), che può interessare o l’inserzione del tendine achilleo (entesite posteriore) o quella della fascia plantare al calcagno (entesite inferiore). Sul piano sintomatologico l’entesopatia (sofferenza di una inserzione) infiammatoria talora è difficile da differenziare da una entesopatia degenerativa (spesso denunciata da una “spina calcaneare”). Nel primo caso tuttavia le moderne tecniche di imaging, in particolare la risonanza magnetica, sono in grado di documentare l’impegno flogistico (periostite, edema dell’osso).
L’interessamento del piede nel corso di un’artrite inspiegata o in un contesto familiare o personale contraddistinto dalla presenza dell’antigene HLA-B27, di una psoriasi o di un’enterocolonpatia, orienta verso la diagnosi di una forma di Spondiloartrite.
L’Artrite Reumatoide debutta una volta su due a livello dei piedi. Particolarmente precoce è l’interessamento delle articolazioni del IV e V raggio, sede precoce di segni radiologici di erosione. Più tardivo in genere è l’interessamento di altri distretti del piede (tarsite reumatoide, calcaneite postero-superiore con borsite reumatoide), fino ai gravi quadri deformanti (piede triangolare reumatoide).
Il piede rimane una delle sedi preferite della Gotta sia acuta che cronica. Non solo l’articolazione metatarso-falangea dell’alluce, ma anche le articolazioni intertarsiche e quella della caviglia costituiscono il bersaglio delle manifestazioni flogistiche del dismetabolismo uratico. Meno frequenti sono gli attacchi dovuti alle altre artropatie microcristalline (condrocalcinosi, idrossiapatite).
Se la sindrome biologica infiammatoria è assente pur in presenza di un’obiettività flogistica si deve prendere in considerazione un’Algodistrofia in fase calda, con dolore, disturbi trofici e vasomotori, demineralizzazione tardiva e risparmio delle rime articolari, iperfissazione isotopica precoce loco-regionale. Il sospetto diagnostico può essere confermato dalla risonanza magnetica, che evidenzia precocemente il caratteristico stato edematoso dell’osso nella regione colpita.
L’artrosi primaria delle articolazioni del piede è rara, ad eccezione dell’artrosi dell’articolazione metatarso-falangea dell’alluce (hallux rigidus), che per frequenza d’interessamento è seconda solo alle articolazioni interfalangee distali delle mani. Inoltre, questa localizzazione, a differenza di quanto avviene per l’artrosi primaria delle mani che predomina largamente nel sesso femminile, si riscontra con elevata frequenza anche nel sesso maschile.
Le altre localizzazioni dell’artrosi del piede sono invece in pratica sempre di natura secondaria: fenomeni artrosici a carico delle articolazioni intertarsiche si riscontrano frequentemente nei casi di alterazioni strutturali inveterate del piede (piede piatto mediale, piede piatto anteriore con o senza alluce valgo, piede cavo); un’artrosi astragalo-scafoidea può conseguire alla malattia di Kὂhler- Mouchet (necrosi asettica dello scafoide); un’artrosi della II metatarso-falangea può essere la conseguenza della malattia di Freiberg (necrosi asettica della testa del II metarsale); un’artrosi dell’articolazione astragalo-calcaneare può essere secondaria a fratture mal consolidate del calcagno o a distorsioni recidivanti della caviglia. Artrosi secondarie delle articolazioni intertarsiche sono di riscontro relativamente frequente nelle artropatie croniche del piede, soprattutto di natura dismetabolica (gotta, condrocalcinosi).
Anomalie tegumentarie in rapporto con affezioni dolorose del piede sono i noduli aponeurotici dolorosi e retratti plantari della malattia di Ledderhose (omologa della malattia di Dupuytren), i noduli eritematosi dolorosi a evoluzione contusiforme dell’Eritema Nodoso, i noduli reumatoidi periarticolari, i depositi tofacei, etc.
SFORZI FISICI IMPORTANTI
Nel caso di sforzi fisici importanti, se si tratta di sforzi ripetuti e prolungati praticati in circostanze inconsuete (in genere marce prolungate) il dolore localizzato a livello del metatarso o del calcagno deve far pensare a una frattura da fatica (ad esempio di un metatarsale nella giovane recluta, oppure al calcagno nella donna anziana osteoporotica).
Tumefazioni dolorose localizzate sul tragitto dei tendini estrinseci sono in genere dovute a tendinopatie. Particolarmente frequente è la tendinite achillea. La rottura del tendine si rivela con un’interruzione sopra il calcagno e l’impossibilità a ergersi sulla punta dei piedi. L’interessamento del muscolo tibiale posteriore si manifesta con tumefazione della sua guaina in sede retro malleolare mediale con valgismo del calcagno e inversione contrastata del piede dolorosa, a meno di una rottura rivelata dalla comparsa improvvisa di un piattismo del piede. L’interessamento dei tendini peronieri parimenti porta a tumefazione allungata retromalleolare laterale con eversione contrastata dolorosa. Relativamente frequente in seguito a sovraccarico funzionale è la tendinite del tibiale anteriore con tumefazione anteriore dolorosa alla caviglia e dolore alla dorsiflessione e inversione contrastate del piede.
E’ importante ricordare che le tendino-sinoviopatie oltre ad avere causa meccanica, sono facilitate da una concomitante artropatia infiammatoria (spondiloartriti, artrite reumatoide).
L’interessamento della fascia plantare (fasciite plantare) fa seguito spesso ad attività sportive intensive (salto, corsa, marcia) o a stazione eretta prolungata, oppure si associa ad obesità o a piattismo del piede. In una considerevole proporzione di pazienti con fasciite plantare (circa il 15 %) coesiste una malattia reumatica sistemica (artrite reumatoide, gotta, spondiloartriti). La fasciite plantare è una delle più frequenti cause di dolore al piede. Spesso coesiste uno sperone osseo in corrispondenza dell’inserzione prossimale dell’aponeurosi a livello del processo mediale della tuberosità del calcagno. Distalmente la fascia si divide in cinque inserzioni, una per ciascun dito del piede. La fasciite plantare si manifesta con dolore a livello della pianta del piede, più intenso all’inizio della deambulazione. Obiettivamente è evidenziabile dolorabilità alla pressione, meglio apprezzabile forzando il piede in flessione dorsale, così da mantenere la fascia in tensione. Risonanza magnetica ed ecografia possono documentare l’ispessimento flogistico della fascia.
SINDROMI DOLOROSE DI NATURA NEUROLOGICA
Disturbi neurologici a carico dei piedi possono essere espressione di malattie neurologiche generali oppure di malattie localizzate al piede. Nevralgia e disturbi della sensibilità e della motricità a livello del piede possono essere dovuti a neuropatie periferiche nel contesto di una polinevrite o di altra malattia neurologica sistemica. Alterazioni strutturali del piede possono essere espressione di malattie neurologiche congenite (ad esempio, malattia di Friedreich). E’ noto che la soppressione della sensibilità propriocettiva profonda, come pure l’abolizione della sensibilità dolorifica, è causa di gravi lesioni distruttive, quali si verificano nel mal perforante plantare dei diabetici, nelle artropatie neuropatogene (artropatia di Charcot), acropatia ulcero-mutilante familiare di Thèvenard o sporadica di Bureau e Barrière.
Durante la marcia, un dolore parossistico a uno spazio intermetatarsico (più frequentemente il terzo) intollerabile, che richiede immediatamente di togliersi la scarpa, è noto come sindrome di Morton, in genere dovuta a uno pseudo-neuroma del nervo interdigitale. Il sospetto diagnostico può essere sostanziato dai riscontri strumentali ottenuti con l’ecografia o la risonanza magnetica. Lo pseudo-neuroma, che in genere richiede un trattamento chirurgico, deve essere distinto da una borsite dello spazio intermetatarsico, complicanza non rara in corso di artrite reumatoide.
Parestesie plantari nel territorio dei nervi plantari mediale e laterale possono essere espressione di una sindrome del tunnel tarsale, frequente complicanza di un valgismo calcaneare patologico. Il nervo tibiale posteriore e i vasi tibiali posteriori, assieme ai tendini del tibiale posteriore e del flessore lungo dei diti (posti anteriormente al nervo) e a quello del flessore lungo dell’alluce (posto posteriormente al nervo), passano dietro al malleolo interno profondamente al retinacolo dei flessori. Il nervo tibiale posteriore nel suo tragitto all’interno del tunnel tarsale può venir compresso dalla tumefazione delle guaine tendinee, o dall’ispessimento fibroso del retinacolo, o da deformazioni ossee a livello della faccia mediale del calcagno o del malleolo interno. Nella sindrome del tunnel tarsale le parestesie generalmente interessano uno o più diti e parte della pianta del piede. Il dolore può anche irradiarsi più prossimalmente. Nel territorio innervato dai nervi plantari può rilevarsi una riduzione della sensibilità alla pressione o alla puntura. La diagnosi può essere convalidata da un segno di Tinel positivo (percuotendo con il martelletto il nervo nel suo passaggio nel tunnel tarsale) o dalla comparsa di formicolio alla pianta del piede esercitando una pressione prolungata sul nervo. Talvolta è possibile apprezzare una tumefazione nel tunnel tarsale dovuta a tenosinovite o una riduzione della forza muscolare nella flessione e nell’abduzione dei diti dei piedi per sofferenza della muscolatura intrinseca. L’elettromiografia rivela un ritardo nella conduzione del nervo tibiale posteriore e nei casi più gravi alterazioni del tipo atrofia neurogena a carico della muscolatura plantare.
Un dolore riferito alla caviglia o al piede può essere un dolore proiettato in rapporto con patologie della regione lombare, dell’anca o del ginocchio omolaterali. In particolare va ricordato che la radice L4 (livello L3-L4) fornisce la sensibilità alla faccia interna della gamba e della caviglia (malleolo interno), la radice L5 (livello L4-L5) alla faccia esterna della gamba e al dorso del piede, la radice S1 (livello L5-S1) alla faccia esterna della caviglia (malleolo esterno) e alle facce esterna e plantare del piede. E’ noto inoltre che il riflesso rotuleo dipende dalla radice L4 e quello achilleo dalla radice S1.
SINDROMI DOLOROSE DI NATURA VASCOLARE
Le estremità inferiori sono frequente sede di alterazioni circolatorie che possono manifestarsi con sintomatologia dolorosa associata o meno a lesioni trofiche. Alla base dei disturbi possono esserci alterazioni a carico delle arterie, delle vene, del microcircolo o dei linfatici. Obiettivamente è possibile osservare turbe del circolo (fenomeno di Raynaud, acrocianosi, livedo reticularis, etc.), lesioni necrotizzanti a stampo, ulcere o gangrena umida o secca (morbo di Buerger, arteriopatia aterosclerotica, vasculiti primitive e secondarie). Affezioni rare sono la sindrome di Klippel-Trenaunay da fistola artero-venosa e il tumore glomico a sede in genere nel letto ungueale.
L’insufficienza venosa a carico degli arti inferiori si manifesta con edema malleolare e al dorso dei piedi, varici, ulcere varicose. Una flebite del piede, specialmente se recidivante, può essere una spia della malattia di Behçet o di una trombocitemia.
Tra i disturbi del microcircolo, particolarmente disturbante e spesso di difficile trattamento è l’eritromelalgia o eritermalgia, caratterizzata da rossore, sensazione di bruciore, tumefazione delle estremità. Quest’affezione può essere primaria, oppure secondaria a malattie ematologiche (malattia di Vaquez), diabete o connettivite. Gli attacchi sono in genere scatenati dall’esposizione al caldo e la loro patogenesi rimane tuttora sconosciuta.